LE CONDIZIONI DI VITA NELLA CONTEA LONGOBARDA DI CALVI

Angelo Martino

Redazione Calvi, 17 luglio 2020

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Nell’alta Campania longobarda, nell’anno 849, vi erano solo tre Gastaldati: Capua, Teano e Sora. In breve tempo, già nel 860, si arrivò ad una quindicina, allorché la Contea capuana si rese indipendente dal Principato di Salerno. Tali Gastaldati, secondo la ricostruzione dello studioso Nicola Cilento, erano quelli di Sora, Atina, Pontecorvo, Isernia, Venafro, Suessula (Cancello), Sessa, Teano, Carinola, Alife, Telese, Caiazzo, Furculae e Calvi. Riguardo all’elevazione del Gastaldato di Calvi a Contea, si ritiene che ciò sia avvenuto tra la fine del IX secolo e i primi decenni del X secolo, negli anni del principato di Atenolfo.

In particolare, i contrasti tra Atenolfo e Atanasio (vescovo-duca di Napoli), per la supremazia sulla contea di Capua, causarono, negli anni successivi, vari scontri con alterne vicende, fino alla capitolazione di Atanasio che per ottenere la pace fu costretto a riconsegnare ad Atenolfo vari territori della Contea che aveva precedentemente occupato. Per Atenolfo il salto qualitativo dalla signoria di un piccolo Gastaldato a quella di una grande Contea non costituiva un punto di arrivo, ma soltanto una tappa intermedia per conseguire più importanti traguardi: il principato di Benevento.

Nel gennaio del ‘900 giungeva felicemente al culmine il percorso politico di Atenolfo, che da gastaldo di Calvi diventava principe dei Longobardi di Capua e Benevento. Pur non potendo disporre di gran parte del materiale documentario custodito nell’archivio vescovile della Diocesi, che fu distrutto in seguito all’incendio del 1647, tuttavia alcuni studiosi sono riusciti a fornirci notizie storiche relative a tali anni. Preziosi si rivelano i manoscritti di Erchemperto, nonché alcune pergamene stilate intorno all’anno Mille, che ci forniscono informazioni anche riguardo alle condizioni di vita quotidiana nella Contea longobarda di Calvi. Vivendo in baracche di legno ed anfratti naturali, i primi abitanti della Contea longobarda di Calvi si dedicarono ad un’economia che possiamo definire di carattere silvo-pastorale. Venivano allevati, pertanto, greggi e armenti in buona quantità, e soprattutto maiali la cui carne, insieme al pane e al vino, costituiva la base dell’alimentazione del contadino medievale.

Inoltre, in alcune zone pedemontane si registrava la presenza di qualche campo di grano e qualche vigneto. Le coltivazioni arboree o le piante a vegetazione spontanea erano costituite soprattutto da querce, ulivi, castagne, alberi di pere, mele, fichi e sorbe. Fu, all’incirca nell’anno Mille, che iniziò a svilupparsi la cosiddetta “economia curtense”, di cui sono esplicative le “villae” e le “hereditates” di Roffredo a Sparanise. Riguardo all’artigianato, Erchemperto afferma che già negli anni del secolo X d.C. si era tornato a produrre vasi fittili, come anche quanto era generalmente collegato alla viticoltura. Tale testimonianza si rivela molto importante, in quanto, pur in quantità decisamente inferiore a quella dell’antica Cales, ci fornisce una prova che “a Calvi era rimasta qualche traccia di una grande civiltà tradizione di civiltà e di lavoro”, come scrive testualmente Giuseppe Carcaiso.

Tali condizioni generali di vita andarono, tuttavia, progressivamente migliorando dalla metà del X secolo grazie alla benefica influenza sul territorio dei due grandi monasteri benedettini di Montecassino e di S.Vincenzo al Volturno, il cui processo di innovazione ebbe una ripercussione positiva nel graduale processo di rinnovamento della ”Longobardia Minore”, interessando di conseguenza anche la contea di Calvi. Allorché il miglioramento delle condizioni di vita della Calvi longobarda si mostrò sempre più incisivo dall’anno Mille, vaste estensioni di terreno vennero sottratte a paludi e boscaglie e restituite alle tradizionali colture, mentre il ripopolamento delle campagne fu favorita da una mirata ed accorta politica di insediamenti rurali, che comportava l’obbligo per i coloni di risiedere sulle terre da bonificare.

E’ da rimarcare che l’insediamento dei coloni fu agevolata da nuovi tipi di contratti agrari, tra cui i più rinomati furono quelli di “livello” e di “pastinato”, che offrivano condizioni molto vantaggiose per i contadini. Lo storico Nicola Cilento definisce tali convenzioni di “livello” e di “ pastinato”. Esse erano caratterizzate dalla loro lunga durata e dalle pattuizioni specificate dalle notevoli clausole di “terram pastenare”, ossia da bonificare. Parimenti si mostrava gradualmente emergente la proprietà fondiaria che rimase quasi sempre nelle mani dei signori longobardi, dei monasteri e delle chiese, a cui tali signori concessero nel prosieguo molti terreni. La proprietà di considerevoli latifondi costituiva per i signori longobardi un motivo di prestigio ed anche una maniera per implementare le loro ambizioni politiche. Riguardo alle donazioni di terreni a monasteri e chiese, sono numerosi i documenti, date le controversie che spesso comportavano.

A metà del X secolo siamo già in presenza di vaste dipendenze monastiche, frutto di donazioni, che, nella contea longobarda, si accompagnavano ai “latifondi laici”. Tale consistente mole di documenti recanti donazioni sono da collegare alla singolare dottrina del Millenarismo, secondo la quale la fine del mondo si sarebbe verificata nell’anno Mille e i signori longobardi, convertiti al cattolicesimo, speravano con tali atti di donazione di acquistare benemerenze nella vita ultraterrena, convinti dell’imminente seconda venuta di Cristo.

 

Bibliografia:

N.Cilento, Le condizioni della vita nella contea longobarda di Capua nella seconda metà del IX secolo, in Riv. stor. ital., LXIII (1951)

N.Cilento - L’Italia meridionale longobarda - 1966

G.Carcaiso - Calvi e l’Alta Campania - 1996