Marrocco non invitato a Roma
ma presente sul territorio
Elio
Zanni, 18 giugno 2015
Era
un sindaco deluso e irritato quello di Calvi Risorta, Giovanni Marrocco, che
ieri mattina presidiava la valle dei rifiuti: l’area calena attigua (e quindi non
coincidente) al perimetro industriale dell’ex Pozzi Ginori. La fascia tricolore
sa che mentre lui è lì, tra i fusti di liquami ancora da analizzare tratti dal
tombamento dell’orrendo «sandwich» di rifiuti pericolosi, a Roma, in sua
assenza, si discute della sua città.
«La
tavola rotonda sull’emergenza ambientale è stata una bella idea, complimenti e
grazie - ha dichiarato, infatti, Marrocco - Peccato però che proprio io, il
Sindaco del Comune interessato e dove la gente si pone mille interrogativi e
vive nella paura di quello che sta venendo fuori e nell’incertezza delle
contromisure che s’intenderanno prendere, non sia stato invitato». Una
dichiarazione forte, istituzionalmente parlando, sorretta dall’orgoglio caleno,
dal mandato elettorale e dalla legge che lo investe del ruolo di «prima
autorità sanitaria locale».
Malgrado
ciò, mette da parte la rabbia e coglie al balzo l’occasione per informare i
concittadini delle ultime novità. Novità più che importanti, e per certi
aspetti molto positive. «Non sono stati rilevati livelli di radioattività -
precisa scandendo ogni parola il primo cittadino - quindi non s’intravedono
pericoli, dovuti ai cantieri in corso, per le popolazioni circostanti. Inoltre,
mi corre l’obbligo di informare tutti che l’area contaminata non è mai stata
coltivata, non ha mai accolto ortaggi, verdure o alberi da frutto. Il consumo
di prodotti agricoli provenienti dalle nostre zone, quindi, è da considerarsi,
almeno per il momento, del tutto sicuro».
Con
Marrocco, ieri, sul sito caleno, c’erano anche il comandante della stazione
della Forestale, Vincenzo Gatta, che in realtà non ha mai lasciato la zona
sulla quale sta lavorando «con un comando composto soltanto da tre persone» da
un anno, e un esperto dell’Istituto nazionale di geofisica di Roma, Marco Marchetti, chiamato a valutare il grado, quale entità, di
contaminazione del sottosuolo e la disposizione degli sversamenti
nei vari strati sottostanti il piano di campagna. E se a Gatta e i suoi, in
questo momento di accaparramento dei meriti per la sconcertante scoperta va
subito riconosciuto senza mezzi termini il merito di aver avuto la sensibilità
di dare ascolto ai cittadini e il coraggio di essere scesi con i piedi nel
piatto, allo scienziato Marchetti va dato atto di
aver fatto finalmente chiarezza sul sistema utilizzato dai criminali
dell’ambiente per liberarsi dei fusti di veleno.
«Con
una tecnica a strati - chiarisce Marchetti - gli
inquinatori hanno seppellito i fusti dai 5 ai 9 metri di profondità. Tra uno
strato e l’altro di fusti hanno frapposto teli di cellophan e terreno
naturale». Un «lavoro» tipico dei clan della malavita casalese. Ora la parola
passa all’Arpac che sta eseguendo la
caratterizzazione con la quale si saprà dell’origine della terra colorata di
rosso, marrone e giallo, della vera natura e pericolosità dei liquami
industriali.
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