Rintracciato un poemetto sull’Antica Cales
Caserta24ore, 02
agosto 2013
Paolo Mesolella
Chi l’avrebbe mai
pensato di scoprire un poemetto sull’antica Cales in un libro di “Rime varie” e
per giunta non sotto il nome dell’autore. Eppure è stato così, nei giorni
scorsi è stato ritrovato nel Museo Campano di Capua il poemetto “Sulle
antichità di Cales” del caleno Giuseppe Martino,
anni fa trasferito a Roma. Il poemetto tra l’altro era stato pubblicato dal
poeta sparanisano Francesco Grande nel 1955, in un suo libro intitolato “Musa
vagante” edito dall’editore Gastaldi di Milano.
Un poemetto che solo
l’autore ormai, ottuagenario e residente a Roma ha fatto scoprire telefonando
alla biblioteca del museo e chiedendo al bibliotecario di rintracciarlo. Un
poemetto che è stata una bella sorpresa scoprire, non solo per il bel stile
aulico, quanto piuttosto per i riferimenti classici proposti che fanno capire
il grande affetto che questo poeta caleno, sconosciuto ai più, ha avuto ed ha
ancora per la sua povera Calvi, ridotta ormai a tanti ruderi abbandonati.
“Pure di Calvi i
ruderi sono a mostrar che un giorno tutto fervea di
vita – scrive – quando, le lance in resta, i baldi cavalieri, al grido di
vittoria, in ressa sui destrieri, cozzaron contro l’unghie dell’aquile di Roma, ma fu dal consul
Corvo Calvi sommersa e doma”. Un poemetto che ricorda tra l’altro gli uomini, i
monumenti e le cose che hanno fatto grande Cales: dal console Marco Valerio
Corvo, al Tempio della Fortuna, dal passaggio di San Pietro al martire e
patrono San Casto, dal Circo Massimo (che in realtà è il Teatro), gli idoli di
bronzo, le anfore di creta, le iscrizioni sui marmi e sulle monete. Poi ricorda
la conquista romana, la rovina, il saccheggio ed il castello dove “l’edera
serpeggia col suo verde /che per mutuar di varia stagione mai non perde…”.
Alla fine, dopo
tante citazioni, conclude il poeta che Calvi risorse, “orba di tante offese
/Del suo destin vindice e a nuovi allori attese:
Mille ville, palagi e chiese, nuove sedi apriche sorsero più in la di quelle
antiche. Ma, della città morta non perde la memoria /Finché vivranno al mondo
l’umanità, la storia”.
Una lezione quindi
sulla storia, sui monumenti e sugli uomini che hanno dato lustro alla città.
Non solo la Cales romana, ma anche la Calvi longobarda, normanna, angioina,
aragonese, borbonica. La Calvi del vescovo Landolfo e dei primi gastaldi Landone III e Atenolfo che
diventò addirittura conte di Capua e Principe di Benevento. La Calvi normanna
di Onfredo, Riccardo e Ruggero dell’Aquila. La Calvi dei monumenti: dalle
chiese paleocristiane di san Casto Vecchio e san Simeone alla cattedrale
romanica di San Casto nuovo, al castello, al seminario settecentesco.
La Calvi, infine,
dei monumenti e delle opere d’arte: dalla famosa lastra di sarcofago dell’VIII
sec., alla pergamena del 914 con la quale Eufemia vende il casale pariniano
alla figlia Bona. E poi ancora le lapidi del vescovo Giusto e di Celerio Giustiniano, la cripta, la sagrestia affrescata, le
tele, la dogana borbonica, gli storici e i letterati di Calvi. Perfino le
grotte affrescate dei Santi e delle Fornelle e la
rievocazione della storia Fiera di san Casto con la processione armata delle
reliquie del santo, martire nel 66 d.C. Una Calvi cristiana che spesso nasce su
preesistenze architettoniche pagane.